Curiosità
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La “macchina da scrivere” di Roma
Come accennato in precedenza, da lungo tempo il Monumento viene mitizzato come luogo custode dello spirito nazionale ed essenza dei valori di libertà, patriottismo e unità.
Rispettato e valorizzato, quest’opera è stata però spesso messa in discussione, ideologicamente, esteticamente e anche urbanisticamente, perché per fargli spazio furono abbattuti diversi edifici della Roma medievale e risistemata la pianta geografica di Piazza Venezia. A causa di queste modifiche il costo dell’opera passò dai 9 milioni di lire inizialmente preventivati ai circa 27 milioni finali.
Alla luce di ciò, il Monumento ha finito per essere noto ai più come “torta nuziale” o “macchina da scrivere”, proprio per il suo colore e dimensioni. A prescindere da queste polemiche il Vittoriano continua ad essere uno dei monumenti più importanti, se non il principale, d’Italia, e l’opera risorgimentale per eccellenza.
I Sotterranei
Non a tutti è noto che il Vittoriano dispone di una vasta e affascinante zona sotterranea. La maggior parte è occupata dai resti di una cava di tufo, che veniva utilizzata dall’età dell’imperatore Traiano (98-117) per l’estrazione di materiale da costruzione.
La cava emerse durante i lavori di edificazione del Vittoriano, obbligando l’architetto Giuseppe Sacconi a rivedere il progetto e a realizzare possenti fondamenta a sostegno dell’edificio.
Degno di nota è l’uso che venne fatto dei sotterranei quando tornarono in auge, in occasione della Seconda Guerra Mondiale. Molti ambienti vennero, infatti, trasformati in un rifugio antiaereo, dotato di un posto di pronto soccorso, fornitura di acqua potabile, uscite di sicurezza, panche solidali con le pareti e servizi igienici.
Sui muri di pietra è possibile identificare diverse scritte che testimoniano questa fase particolare: “Fame da lupo”, “Doppia fame” o “Fettuccine” sono caratteristiche del periodo di guerra.
La cripta interna del Milite Ignoto
Come accennato nelle sezioni precedenti di questo articolo, la salma del Milite Ignoto venne sepolta sotto l’Altare della Patria il 4 novembre 1921, in omaggio a tutti i caduti di quel conflitto.
Ciò che molti non sanno, invece, è che, qualche anno più tardi, si decise di costruire anche una cripta all’interno: inaugurata nel 1935, mentre la direzione del cantiere era affidata all’architetto Armando Brasini.
L’altare interno corrisponde perfettamente alla lastra tombale all’esterno. Essa è decorata dall’iscrizione che ricorda la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare, massima decorazione militare italiana:
“Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria.”
Sulla porta del simulacro è invece presente il seguente epitaffio, che è stato redatto da re Vittorio Emanuele III di Savoia in persona:
“Ignoto il nome - folgora il suo spirito - dovunque è l’Italia - con voce di pianto e d’orgoglio - dicono - innumeri madri: - è mio figlio”
Di fronte alla cripta si apre una cappella a croce greca. Il pavimento è fatto di lastre di marmo del Carso, l’altare è stato ricavato da un blocco di roccia del Monte Grappa, le une e l’altro a ricordo dei luoghi in cui si combatté la Prima Guerra Mondiale.
Tanto il sacello quanto la cappella, sono decorati da un ciclo di mosaici realizzati dal pittore toscano Giulio Bargellini entro il 1934. La cripta accoglie sulla parete di fondo una Crocifissione; la cappella accoglie nella cupola la Madonna di Loreto e nel tamburo: San Martino, San Giorgio, San Sebastiano e Santa Barbara, ovvero i protettori delle varie Armi.
I “blue jeans” e la barella di Giuseppe Garibaldi
Come accennato in precedenza in questo articolo, il Museo Centrale del Risorgimento ospita cimeli che hanno segnato eventi importanti nella storia del risorgimento italiano. Tra questi, degni di nota sono i pantaloni originali che Giuseppe Garibaldi (principale eroe nazionale italiano, che portò all’unità del Paese), indossò durante l’impresa dei Mille e la vera barella con cui venne soccorso in Aspromonte nel 1862.
I pantaloni erano fatti con il tessuto utilizzato dai marinai genovesi ed è proprio dalla città di Genova e dal colore blu, estratto dal guado e realizzato con l’indaco (impiegato per la sua resistenza per la manifattura degli abiti dei marinai), da cui si pensa i blue jeans prendano il loro nome.
Quelli conservati nel Museo, appunto, sono i pantaloni che Garibaldi indossò nel 1860 durante l’impresa dei Mille e con i quali condusse la guerra in Sicilia. Un cimelio raro che venne donato dai figli dell’Eroe dei due mondi (altro appellativo che gli venne conferito per via delle sue gesta) al fine di richiamare alla mente il ruolo avuto da Garibaldi per l’unità nazionale e, non a caso, intorno ai bottoni venne apposto un simbolico nastrino tricolore.
La funzione della barella ha a che vedere con quanto accaduto nel 1861, quando, dopo l’Unità di gran parte della penisola, si rese esplicita la “questione romana”: ossia il problema di come conquistare Roma, capitale ideale d’Italia, che era rimasta sotto il governo temporale di Pio IX.
Prese così il via l’impresa condotta da Giuseppe Garibaldi che, nel 1862, pensò di risalire la penisola partendo dalla Calabria, con un gruppo di volontari, per conquistare Roma. Per evitare conseguenze sul piano internazionale, il governo decise di fermare con la forza Garibaldi inviandogli l’esercito: dodici garibaldini morirono e egli venne ferito ad una gamba sull’Aspromonte e trasportato in salvo mediante quella stessa barella.
Tutti gli oggetti legati a questo episodio furono conservati e vennero donati al museo: lo stivale con il foro del proiettile, il proiettile, le bende insanguinate, la barella e la coperta. La dicitura in inglese su quest’ultima è opera di Jessie White, moglie di Alberto Mario, una fervente patriota inglese che seguì le vicende dell’indipendenza italiana.
Le reliquie di Santo Papa Giovanni XXIII
Un altro museo del vittoriano in cui sono presenti illustri cimeli di cui molti non sono al corrente è il Sacrario delle Bandiere. Qui sono esposti infatti una reliquia e alcuni oggetti di Papa Giovanni XXIII, dal 2017 patrono dell’Esercito Italiano.
Egli, nato Giuseppe Angelo Roncalli, fu eletto papa il 28 Ottobre 1958 ed è ricordato con l’appellativo di “Papa buono”. È stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000 e canonizzato insieme a Giovanni Paolo II il 27 Aprile 2014 da Papa Francesco.
Roncalli partecipò come soldato al 73° Reggimento Fanteria, ottenendo il grado di Caporale. In seguito fu richiamato in servizio con il grado di Sergente di sanità e infine, durante la Prima Guerra Mondiale prestò servizio, su sua specifica richiesta, come cappellano militare all’Ospedale di Bergamo: gli effetti personali da militare, insieme a una reliquia, sono custoditi nel Sacrario delle Bandiere dal maggio 2017.
Chi era Vittorio Emanuele II?
Vittorio Emanuele II (1820 – 1878) fu il più amato dei sovrani di casa Savoia, anche per via delle sue qualità umane. Divenuto re di Sardegna nel 1849, egli collocò il suo Piemonte, regione d’origine, alla guida del progetto risorgimentale, coronato nel 1861 con l’Unità d’Italia e nel 1870 con la presa di Roma. Alla sua morte, il 9 gennaio 1878, egli fu salutato come il re galantuomo e il Padre della Patria.
Vittorio Emanuele II ebbe un ruolo essenziale nel Risorgimento, quel processo storico che nel corso del XIX secolo condusse all’Unità d’Italia: nel 1861 prima e nel 1870 dopo, con la presa di Roma, che pose fine al potere temporale dei pontefici. Un anno dopo, la Città Eterna divenne la nuova capitale del Regno.
Anche attraverso il suo celebre primo ministro, Camillo Benso conte di Cavour (1810 – 1861), il re seppe mantenere la giusta distanza fra le varie proposte risorgimentali: alla fine prevalse la strada monarchica legata alla dinastia dei Savoia, re di Sardegna e poi appunto d’Italia.
Alla sua morte, il 9 gennaio 1878, fu salutato come il re galantuomo e il Padre della Patria. I giorni successivi apparvero cruciali per organizzarne il rito funebre e la commemorazione. Mentre il corpo del re veniva seppellito nel Pantheon, ben presto il Governo iniziò a progettare sempre a Roma il futuro Vittoriano, ovvero un monumento in grado di celebrare degnamente il Padre della Patria.
Il Palcoscenico del Regime e la Marcia su Roma
Per diverso tempo in passato, e a volte tuttora, il Vittoriano è stato tristemente associato al fascismo e al suo leader, Mussolini. Si cercherà in questa sezione di spiegarne le motivazioni e soprattutto di decostruire questo pregiudizio.
Durante la sua ascesa, Mussolini non aveva ancora a Roma un luogo di fondazione o un centro che rappresentasse simbolicamente il suo potere, per questo il dittatore si appropriò indebitamente dei valori e della tradizione nazional-patriottica che rappresentava il Vittoriano, in quanto emblema per eccellenza dell’unificazione del Paese.
Scegliendo il Monumento come mezzo di autocelebrazione e manifesto di propaganda del regime, Mussolini decise di scegliere, come tappa conclusiva della famosa Marcia su Roma, proprio il Vittoriano e Palazzo Venezia.
Quando si parla della Marcia, ci si riferisce alla manifestazione armata del 28 ottobre del 1922, organizzata dal Partito Nazionale Fascista (PNF), il cui successo ebbe come conseguenza l’ascesa al potere del partito stesso in Italia. In quella data, circa 50.000 camicie nere marciarono sulla capitale rivendicando al sovrano la guida politica del Regno d’Italia e minacciando, in caso contrario, di prendere il potere con la violenza.
Quando giunsero al Vittoriano, Mussolini rese omaggio alla tomba del Milite Ignoto e accolse l’incarico di formare il governo, concesso dal re Vittorio Emanuele III, proclamando la celebre frase: “Porto a Vostra Maestà l’Italia di Vittorio Veneto, riconsacrata dalla Vittoria”.
Fu poi proprio da Piazza Venezia, in particolare dal Palazzo Venezia, come ampiamente descritto nel nostro articolo su tale monumento, che il dittatore rilasciava le sue bellicose dichiarazioni che condussero l’Italia alla Seconda Guerra Mondiale.
Per non commettere il grande errore di associare quindi il Vittoriano al regime, compromettendo quindi la purezza dei suoi ideali e addirittura ritenendo che la fondazione stessa del Monumento sia legata a quest’ultimo, bisogna ricordare questi fatti storici; tenendo a mente che i fascisti salirono al potere solo negli anni ‘20.
Come esposto nella sezione storica di questo articolo, inoltre, il processo di edificazione del Vittoriano ebbe inizio già 40 anni prima, mentre quello di inaugurazione, si concluse nel 1911, anche se in maniera incompleta.
L’Attentato e Il Vittoriano sotto processo
Nel dopoguerra, il Monumento, proprio poiché era stato il palcoscenico del Regime fascista, fu oggetto di profonda critica e sfortune sotto vari punti di vista, che durarono anche nei decenni successivi.
A livello popolare si assistette per esempio al recupero delle critiche popolari e di alcuni intellettuali futuristi, già menzionate in precedenza: “macchina da scrivere”, “torta alla panna” e altri insulti divennero nomignoli abituali.
Il 12 dicembre 1969, alle 17:30 contemporaneamente alla strage di piazza Fontana a Milano, due bombe esplosero all’interno del Vittoriano. L’attentato provocò pesanti danni alle strutture, ma fortunatamente nessuna vittima. A scopo di prevenire altri attentati si decise allora di chiudere il monumento al pubblico.
Il declino dell’edificio proseguì negli anni successivi. La situazione non migliorò con l’inaugurazione del Museo Centrale del Risorgimento, nel 1970, che a sua volta fu chiuso dopo appena nove anni, nel 1979.
Il momento più buio venne raggiunto nel 1986, quando il vicino Palazzo Venezia accolse un curioso “processo” al Vittoriano, che aveva come obiettivo la sua demolizione. Intellettuali e critici lo accusarono allora di “estraneità e sopraffazione sulla città circostante”.
La corte respinse infine le istanze di demolizione presentate dall’accusa. Così, con il minimo della pena, si è concluso il processo al monumento a Vittorio Emanuele II, imputato fondamentalmente di offesa estetica.
Il discorso di Carlo Azeglio Ciampi e la riapertura
Dopo una chiusura di quasi 30 anni, dal 1969 al 1997, si assistette ad una rivalutazione dell’intero complesso del Vittoriano, che iniziò a rientrare nella vita dei cittadini per volontà di Carlo Azeglio Ciampi, decimo presidente della Repubblica Italiana.
Il Presidente lo rese la base della sua politica di pacificazione nazionale, fondata sulla riappropriazione di luoghi e simboli della storia patria. Il Monumento, dopo un accurato lavoro di restauro, fu riaperto al pubblico il 24 settembre 2000, in concomitanza con la cerimonia di apertura dell’anno scolastico.
Ciampi volle proporlo come nuovo foro di Roma, pronunciando queste famose parole:
“Riapro questa straordinaria terrazza di Roma, della nostra capitale, su un monumento che sta diventando uno dei punti centrali dell’incontro di ogni italiano con la città eterna”.
L’operato del presidente fu poi ripreso e continuato anche dal suo successore, Giorgio Napolitano, con particolare risalto durante le celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità d’Italia.
In quell’occasione, i festeggiamenti del 17 marzo iniziarono proprio dal Vittoriano, aperto straordinariamente per l’occasione. L’Inno di Mameli, storico simbolo culturale, venne eseguito dalla Banda Interforze del Ministero della Difesa.
Successivamente, il Gruppo IX Invicta ha eseguito meravigliosi fuochi artificiali d’epoca, che hanno illuminato il cielo della capitale dal Parco del Celio riproducendo l’arte pirotecnica dell’Italia ottocentesca.